L’ignoranza di coloro che credono che tutte le grandezze siano commensurabili
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Ateniese: “inoltre ci sono altri casi affini a questi in cui noi cadiamo in errore, e in errori che sono fratelli di questi”. Clinia: “Quali?”. Ateniese: “La natura delle relazioni reciproche fra grandezze commensurabili ed incommensurabili. E queste cose vanno analizzate e studiate con attenzione, se non si vuole essere persone di scarso valore” (Platone, “Leggi”).
Fu uno dei primi sogni dell’uomo filosofo, l’uomo che vuole sapere: l’aritmogeometria. Il numero che ha anche spazio, che è uno in quanto monade pitagorica. Tutto obbedienza di rapporti, armonia: la fisica cosmica che si fa musica. Eppure questo paradiso terrestre era costretto ad accogliere molte cose strane, a cominciare dalla lenta tartaruga che sfugge al pie’ veloce Achille. E venne poi la diagonale del quadrato, a rovinare definitivamente tutto, e a reclamare il diritto di cittadinanza ontologica anche per gli alogoi, le quantità che non rispondono a un logos, a un rapporto, né, d’altra parte, si possono mai dire completamente: gli irrazionali, che non vengono da una ratio, che non sono frutto di una divisione. Il mondo è più complesso di così, non è fatto di tante tessere di numeri interi. E Ippaso, figura prometeica, portò la verità agli uomini, tradendo il maestro, e meritandosi una tomba simbolica in ogni scuola pitagorica. Ma in questo nuovo mondo disvelato, popolato da grandezze incommensurabili, da numeri non periodici, da grandezze non archimedee, potevano reggere le arcate dei ponti e volare gli aerei.
Quantità e qualità: due nozioni ancestrali per l’uomo; due delle categorie aristoteliche, persino. Il problema se possa darsi la metabasis eis allo genos, con una teoria della misura sufficientemente sofisticata, potrebbe tenerci occupati a lungo; ho qualche controesempio nel cassetto, per il lettore che coltivasse questa curiosità. Ma non è questo il punto. Ammettiamo per via ipotetica che sia pure, che una reductio all’individuatione solo numero si possa dare, e che sia data al Ministero la perfetta informazione per applicarla. È giusto, è opportuno, è morale, è produttivo applicare l’algoritmo per determinare la retribuzione di un insegnante? Ecco, abbiamo individuato il punctum dolens.
La questione allora è se vi sia un pactum unionis tra lo stato e l’insegnante di tipo canonico, non graduabile, privo di parti come la monade (questa volta quella leibniziana) o se si dia una relazione differenziabile e scalabile, attestantesi a livelli differenziati. Se vi sia, o vi debba essere, una relazione di appartenenza/non appartenenza a una classe, secondo la logica binaria del tutto/nulla, o se si debba impiantare una appartenenza graduale, in una logica fuzzy, per livelli. Come dire, “lei è un insegnate” appartiene al campo delle yes/no questions, come direbbe un anglofono, oppure no? Nel caso positivo non avrebbe senso una risposta intermedia. Alla domanda dell’impiegato dell’anagrafe: “coniugato?” non avrebbe senso rispondere: “Be’, un po’”.
Proviamo a procedere per analogia. Un colonnello dei carabinieri potrebbe esserlo “un po’”? E un sostituto procuratore? E un prefetto? Come si vede, la funzione c’è o non c’è, si dà o non si dà. Ora, questa funzione, questo patto forte tra lo stato e il funzionario è “efficace”, nel senso che il suo darsi influenza il mondo in modo decisivo. Tanto è che l’atto illocutorio diventa nelle opportune circostanze performativo nel senso di Austin, atto cioè in grado di cambiare il mondo. Quando il giudice pronuncia la sentenza “[…] condanna il Sig. Rossi ad anni 7 […]”, il Sig. Rossi è condannato; il mondo cambia di conseguenza. Allo stesso modo, quando il presidente della commissione di laurea pronuncia la formula “[…] e per i poteri conferitimi dalla legge io la proclamo dottore in medicina”. Ora, questo patto tra la società civile, prima ancora che con lo stato, e il funzionario, questo patto, efficace e a cui non sono ammesse deroghe né applicabili mezze misure, ha un valore intrinseco o no? E si prenda pure, allora, il termine “valore” nella sua accezione più mercantile. È evidente che esso ce l’ha, tanto è vero che esistono i reati di corruzione e di concussione, il che vuol dire che c’è chi prova a comprarlo; e, mi sia consentito dirlo, senza peraltro fare esempi, chi lo ha comprato di fatto.
Ecco spiegato in modo incontrovertibile perché a quel patto deve corrispondere un ben preciso e non graduabile riconoscimento: perché esso è intrinsecamente un valore, e dunque, a fortiori, ha un valore olisticamente uno e indivisibile. A riprova, si citi un sol caso tra i precedenti in cui la remunerazione sia graduata per merito: due colonnelli, due prefetti, due giudici…
La visione aziendalistica imperante segue tutto un altro modello, del quale qui non è dato lo spazio per trattare. Altre logiche. Scimmiottarne solo alcuni tratti significherebbe tradirne la coerenza, cosa purtroppo assai frequente nei provvedimenti dei nostri governanti. E gli effetti potrebbero anche rivelarsi ben miseri, se non addirittura controproducenti, come diversi recenti studi dimostrano (cfr. ad es: “New York: il premio al merito non serve”). Ma, più ancora, significherebbe un cambio drastico di obiettivi: l’obiettivo dominante, primo e spesso unico, dell’azienda è il profitto, cioè la remunerazione, non l’efficacia del risultato.
Questo naturalmente non vuol dire che, allo scheletro logico così delineato, non si possano, o non si debbano, associare i più sofisticati meccanismi incentivanti, ma per via di aggiunzione, lasciando intatta la coerenza dello scheletro, senza barattare un osso con un muscolo. Speriamo arrivi il nostro Ippaso, prima che venga giù tutto.
English abstract: Since the title, roughly quoted from Platos’ Theaetetus, the paper points out the difficulties of intellectual work evaluation; even though it would be based on a good assessment, a system of remuneration for teachers based mainly on it, should present serious theoretical and practical problems.
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Nella foto: Luca Della Robbia, “Platone e Aristotele”, formella del campanile di Giotto, Museo dell’Opera del Duomo, Firenze.
Maurizio Matteuzzi